Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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Il bocciato como emergente del gruppo-classe. A. Carraro


IL BOCCIATO COME  EMERGENTE  DEL GRUPPO-CLASSE

Alberto Carraro


ABSTRACT

Il lavoro affronta il problema dell’esclusione all’interno del gruppo di formazione. Non sempre l’insegnamento tradizionale contiene un’analisi del campo dell’ istruzione e della formazione che preveda il riconoscimento dell’espulsione dal gruppo come problema del gruppo stesso e come emergente significativo del modello di produzione e riproduzione del sapere. E’ necessario promuovere il cambiamento dei modelli pedagogici scolastici e formulare nuovi criteri di valutazione per evitare, tra l’altro, processi troppo sommari di selezione sociale.


Sono molti anni che faccio il professore al Liceo Statale vicino a Venezia.
 In questo tempo ho potuto apprendere la concezione operativa di gruppo e utilizzarne la tecnica lavorando in un ambiente, quello della scuola italiana, in cui il confronto, la discussione dei casi, l’aggiornamento critico non costituiscono lo strumento principale nel campo dell’elaborazione del metodo di insegnamento per la diffusione e l’approfondimento delle idee. Mi riferisco ad alcuni dei possibili livelli di elaborazione all’interno di un’istituzione che, pure, fa della collegialità un requisito fondamentale nel fornire il servizio sociale della istruzione e della formazione.
 L’idea che sovente mi torna alla mente è che il faticoso impegno scientifico ad osservare da vicino questo luogo di produzione, la pratica del confronto teorico consentirebbero di educare alcuni aspetti della natura umana degli insegnanti: la prassi della trasmissione del sapere attraverso la scuola spesso occulta o rende quasi invisibile il frutto di una accumulazione di nozioni di cui non riesce bene a esplicitare la sintesi. Presentare il metodo di lavoro dei Gruppi Operativi nell’insegnamento significa parlare molto di quanto accade nell’aula di scuola, per allargarsi alla ricerca di modelli di riferimento e di significati insiti nella relazione insegnamento-apprendimento facendo sempre molta attenzione: a) al posto degli allievi, b) al compito dell’apprendimento e c) al docente. Il fatto è che gli insegnanti per le caratteristiche intrinseche alla loro formazione hanno sempre in mente di fare qualche cosa (il programma) e capita loro raramente di ascoltare e pensare la situazione in cui vivono e lavorano. Addirittura la presunta facilità del fare scuola e il parlarne, relazionare, verbalizzare appaiono come due azioni di facile abbinamento, quasi appartenessero entrambe allo stesso ambito. In realtà un livello di concettualizzazione della pratica è il solo a permettere una crescita professionale in cui il singolo docente e i colleghi nel loro insieme, possano incrementare la propria preparazione e la propria funzione formativa delle giovani generazioni. Nulla può essere più pericoloso della separazione fra il fare e il parlare, fra il pratico e il teorico.
 Mi piacerebbe contribuire con questo lavoro al confronto e alla discussione di casi per la trasmissione e l’approfondimento delle idee tra chi pratica questo mestiere ed è interessato al cambiamento delle istituzioni.


La situazione

Il problema dell’allievo che perde un anno di scuola perché bocciato, o per meglio dire, ritenuto dal docente o dal consiglio di classe non idoneo a proseguire gli studi nel livello successivo, merita alcune considerazioni sul compito di chi valuta.
I compiti del docente e dell’allievo possono a prima vista sembrare differenti, ma contengono degli elementi comuni come quello dell’apprendimento.
La professionalità docente trova il suo fondamento sulla preparazione tecnica, in una o più discipline, certificata dai titoli di studio e dall’abilitazione didattica. Il lavoro formale di molti insegnanti consiste in spiegazioni dei capitoli di un programma annuale o semestrale e su relative interrogazioni di verifica; queste due operazioni occupano, nell’esperienza e nella pratica quotidiana, la maggior parte del tempo-scuola, arrivando a monopolizzare una quantità decisamente sproporzionata dell'inquadramento dell’unità didattica.
Una procedura così totalizzante impoverisce la funzione docente deprivandola di ulteriori opportunità che costituirebbero un arricchimento dell’identità professionale. Il fenomeno è diffuso pressoché in tutti gli ordini di scuola, dai primi anni della scolarità infantile fino ai più specialistici e avanzati livelli dell'insegnamento universitario, ma non può esserci sviluppo scientifico in pedagogia senza ripensare la contestualità del processo dell’istruzione e della formazione allo scopo di proporre e sperimentare delle alternative.
L’insegnamento insiste sulla perenne riedizione di un modello pedagogico che riproduce in modo stereotipato i saperi e, fondandosi sulla ripetizione dei contenuti, costituisce la matrice della dipendenza degli allievi.
Nella formazione di un insegnante non dovrebbe mancare la conoscenza e l’utilizzo di uno strumento imprescindibile di professionalità come un’organica teoria dell'osservazione del campo in cui opera. In questa direzione per molti versi insondata e forse disconosciuta, è compresa la parte di apprendimento riferita a chi ha il compito di insegnare.
Che dire della routine cui soggiacciono gli allievi di certi corsi dove le discipline sono trattate secondo una modalità che, pur garantendo lo svolgimento del programma preventivato, sembra semplicemente obbedire ad una ritualità prevedibilissima: il titolare spiega per tutta la durata della lezione?
Le domande sorgono spontanee: guarda qualcosa del contesto in cui si trova immerso un docente che insegna in questo modo, oltre a seguire il filo del proprio discorso? Un insegnamento che prescinde totalmente dall'essere rivolto ad un gruppo, considerato semplice uditore, al quale, tutt’al più, si chiede se ha capito i contenuti, può essere praticato in tutti i livelli dell'istruzione e mantenere un carattere formativo? Le lezioni possono essere sempre comodamente assimilate ad una serie di conferenze? L’argomentazione sottende la questione della dotazione di un apparato tecnico con annessa teoria della tecnica, che riesca a qualificare la competenza professionale dei docenti in una maniera più elaborata della semplice esposizione, illustrazione, commento di un argomento. Alla base di questa prassi vi è la convinzione, aggiudicata e attribuita, a seconda dei punti di vista, che comunque gli allievi siano ignoranti. Detta persuasione è vera entro certi limiti.
La richiesta di un cambiamento nell’approccio agli oggetti di conoscenza è realisticamente da attendersi dagli studenti che, in ultima istanza, sarebbero andati a scuola per apprendere?
Sì, a patto che si sappia interpretare il disagio come un fattore determinante nella direzione di un cambiamento e non una semplice resistenza di chi presumibilmente vuole impegnarsi e lavorare il meno possibile.
Una motivazione plausibile di questa diffusa pratica dissociata e dissociante viene dal fatto che la scuola continua ad essere vissuta e si propone come un'arena in cui sia lo studente sia il docente cercano, ognuno a suo modo, di imporre la propria volontà progettuale, mentre sono parti effettivamente complementari.
Questa competizione finisce col creare un equilibrio tra due forze antagoniste che definirò per l'occasione: il dovere e il piacere. In classe domina l'influenza dell'insegnante, mentre nell'intervallo o durante il tempo extrascolastico accade (o gli studenti sperano che accada) il contrario, prevalendo in queste altre situazioni il desiderio e gli immaginari legati ad un benessere più libero, spontaneo, senza i vincoli della costrizione, che farebbero perdere il gusto dell’apprendere.
Si manifesta quindi un conflitto perenne tra la scuola e il cosiddetto tempo libero, il dentro e il fuori. E pensare che skolè vale l’otium latino…
Il ragazzo dà tutta l'impressione che rivelerà la sua natura intima, la sua affettività nel gruppo di amici o nel tempo extrascolastico con i suoi hobbies e le scelte ludiche, mentre il docente (o i genitori, secondo i contesti) sembra convinto della propria produttività come insegnante svolgendo il programma nel corso che tiene in classe e garantendo la sua assimilazione (o mantenendo uno stile familiare, con le sue cadenze rituali che comprendono linee educative, ma anche contradddizioni come prediche, arrabbiature, consigli, ecc.).
In questo scontro è destinato a prevalere il più forte: l'adulto; il professore a scuola è in grado di vincere, aggiudicandosi per insegnare la maggior parte del tempo.

    L’insegnare

Quando definisco il bocciato emergente nel gruppo-classe ho in mente uno schema di riferimento che consente di leggere la classe come un gruppo e il compito di lavorare per (il recupero di) colui o coloro che rischiano la bocciatura o il fallimento nell’esame, come se fosse un problema di quei singoli allievi e nello stesso tempo dell'intera classe.
Va pur detto che questa tipologia di impostazione non trova sicuramente applicazione in quei corsi universitari dove il compito docente è solo quello di dettare la lezione, perché questo è l’unico modo scelto dai professori, finendo l’uditorio studentesco per essere animato dall’interesse, quasi esclusivo, di superare l’esame e acquisire i crediti necessari a conseguire la laurea. E’ anche vero che alla fine si stabilisce una complicità che poggia sul mantenimento di  un equilibrio funzionale al sistema organizzativo degli studi che garantisce la distribuzione dei titoli di studio; magari rimane l’illusione consolatoria, sia dei docenti, sia degli studenti, che i saperi tecnici che costituiscono una formalizzata conoscenza delle disicipline di studio siano obiettivamente e necessariamente ripetitivi e poco discutibili.
Si tratterebbe, viceversa, di centrare il lavoro educativo e formativo sulla rottura di quegli apparati comunicativi stereotipati (modalità rigide nel vivere e nel considerare l'altro, o antagonista o complice) e dei meccanismi più collaudati di aggiudicazione e assunzione dei ruoli, così da consentire agli allievi una modificazione dei vincoli interni ed esterni. Questa base di riflessione è necessaria per produrre una economia della consapevolezza degli strumenti utilizzati e della loro funzionalità sia nei docenti sia negli studenti.
Imparare a pensare è una finalità collegata alla risoluzione delle difficoltà che si osservano nel campo gruppale e non solo in qualcuno dei suoi integranti.
Propongo di considerare colui che manifesta difficoltà di apprendimento in un contesto scolastico come il portavoce di se stesso e delle fantasie inconsce del gruppo. Le modalità di reazione di fronte al compito di apprendimento trovano riscontro in una collaudata tipologia di esperienze previe in cui il vissuto tende a essere riproposto. La mancata soluzione di problemi legati ai pregiudizi di relazione, quelli che fanno riferimento alla globalità del gruppo interno, ripropone antichi vizi di forma nell’affrontare oggetti di conoscenza ed esperienze.
L'interrelazione tra i componenti di un gruppo fa sì che molti comportamenti ne sostituiscano altri; facilmente possiamo osservare che chi dimostra un rendimento poco produttivo diventa il deposito delle parti poco elaborate e comprese delle materie.
La poca voglia di studiare non sarebbe altro che un'attiva azione di autoesclusione dell'allievo da un contesto nel quale è molto più economico dissociarsi con un atteggiamento emarginante piuttosto che utilizzare un diverso impegno nei confronti del programma di studi.
Per questo si rende necessario interpretare come portavoce del gruppo l'allievo con difficoltà di inserimento e/o apprendimento (non limitarsi semplicemente a rimproverare, consigliare, ammonire, minacciare di espulsione). L’allievo che si ritrova collocato in questa dimensione a rischio di espulsione, per la sua storia personale, è molto sensibile al problema soggiacente del gruppo, e, attuando come un vero e proprio leader, mette allo scoperto certe fantasie legate, ad esempio, alla colpa o alla punizione.
Desidero sottolineare il fatto che la struttura del gruppo è attiva nell'alimentare un elemento a lei così funzionale, servendosene come si trattasse di un parafulmine.
L'allievo che resta indietro nello studio del programma, colui che non segue le lezioni, che non sta mai fermo, rappresenta una resistenza al cambiamento; infatti, per il momento, è impossibilitato ad accettare e a tenere qualsiasi altra condotta alternativa.
Il gruppo:
1) si organizza per stereotiparsi (rimanere sempre uguale), per difesa di fronte all'ansia che produce l'inevitabile modificazione che è conseguente ad ogni nuova conoscenza.
2) si struttura come un gruppo cospiratore per opporsi al cambiamento, dato che questo è vissuto come un pericolo per l'aumento di insicurezza e incertezza che provoca. Niente lo spiazzerebbe di più dell'eventualità in cui un componente, in passato subalterno, non brillante o rompiscatole divenisse bravo. (Penso veramente che, in prima istanza, al di là delle parole, sono i compagni a bocciare l’allievo non capace).
3) la relazione che intercorre tra il programma di studi e questa speciale problematica soggiacente è veramente funzionale ad un apprendimento che abbia le caratteristiche di un legame produttivo tra tema e contesto di apprendimento, nel senso che i contenuti disciplinari non sono mai considerati indipendenti dal contesto di apprendimento. Viceversa, meritano scarsa fiducia tutte le preparazioni cosiddette mnemoniche e ripetitive, perché si fondano su di una formalità eccedente la reale consapevolezza dell’assunto solo verbale, in realtà.
Se ogni nuovo apprendimento produce un cambiamento, ogni gruppo sociale, compresa la famiglia, tende con varie strategie (autorità, consiglio, violenza, esclusione, persuasione, regole educative, ecc.) a preservarsi, al fine di evitare che la variazione di un singolo produca degli effetti negativi su tutti i componenti: potremmo affermare che la cospirazione è una situazione costante nei gruppi.
L'insegnante dovrà essere in grado di condurre uno studio sistematico dei fattori che impediscono al gruppo di accedere direttamente al compito; il complesso delle interferenze che si verifica in classe va letto come difficoltà negli allievi ad affrontare i contenuti proposti.

  (fig.1)

La figura 1 è la rappresentazione del compito che attribuiamo al docente: egli osserva la relazione gruppo-materia di apprendimento.
Dalla nostra prospettiva, chi va male a scuola mostra che è in grado di attivare efficaci dispositivi di sicurezza personale destinati a metterlo in salvo dalle sofferenze, dalle ambiguità e dalla colpa che gli vietano di assumere la propria identità e lo fanno tentennare di fronte a qualsiasi progetto.
Sin dall'inizio di ogni anno scolastico lo sforzo educativo, in qualsiasi disciplina scolastica, va diretto a promuovere negli allievi la conoscenza del proprio mondo interno, requisito essenziale per pianificare e orientare l'azione dell’apprendimento.
A questo scopo diventa strumentale la divisione del tempo-scuola in due parti fondamentali e distinte: il tempo riservato all'informazione e quello riservato alla discussione. Contemporaneamente si dovrà convenire su: 1) chi assumerà l'importante compito di tenere la lezione, 2) il rapporto ottimale che dovrà esserci tra la mole quantitativa del programma di studio disciplinare e il tempo a disposizione perché gli allievi lo possano svolgere e assimilare.
L'assunzione e l'aggiudicazione dei ruoli rivestono molta importanza nell'economia del tempo-scuola, dato che, più l'insegnante monopolizza il tempo, più offre un contributo attivo al permanere di ruoli fissi. O, detto in altri termini, più l'insegnante insiste ad intervenire sul manifesto (da un punto di vista tecnico ciò si verifica quando non viene posta una discriminazione significativa tra 1) parte informativa e 2) discussione in gruppo), più si rivela complice nel mantenere il gruppo in una situazione di stallo produttivo.
Non c' è dubbio che in contesti analoghi siano proliferati allievi di successo, usciti dalla scuola con ottimi risultati, ma queste conclusioni meritano una valutazione riferita alla contestualità.
Guardando i risultati dei bravi studenti, si rischia di perdere di vista una realtà più vasta e sommersa che tace la sofferenza dovuta all'esclusione, i silenzi prodotti dall'impossibilità di parlare, l'universo negato alla comunicazione. Se poi si considera questo discorso legato al compito di apprendimento, si può capire la grossolanità di certe preparazioni pur valutate formalmente come eccellenti. Penserà poi l’accesso al mondo del lavoro a colmare e ad appianare molte di quelle aporie, perché il titolo di studio diventa di per sé una garanzia giuridica per accedere alle professioni; la stessa abilitazione alla professione funziona sulla stessa lunghezza d’onda, appunto per il suggello finale alla consacrazione dell’intero sistema formativo, che ha condotto sin lì il candidato che solo allora cesserebbe di essere studente e allievo.
Questo genere di accadimenti è direttamente correlato con il modello utilizzato nel proporre la materia oggetto di insegnamento, alla tecnica utilizzata nel gestire i processi all’interno dell’istituzione formativa, nel senso che molto viene tenuto segreto sulle procedure per imparare, in primis l’apetto emozionale degli effetti dell’apprendimento e tale è destinato a rimanere.


Alcuni riferimenti della tecnica operativa

Nell'affrontare un testo poetico inserito in un piano di lavoro, oggetto di valutazione dell’apprendimento prendiamo in considerazione, ad esempio:
1) il testo, sulla base della raggiunta definizione delle edizioni critiche
2) l'interpretazione consolidata dalla critica.
Tutti concorderanno che essi devono essere proposti alla classe senza che diventino un bagaglio statico e nozionistico, promuovendo una conoscenza che superi i livelli minimi di assimilazione descrittiva dei contenuti.
Il problema diventa quello di creare le condizioni perché l'allievo possa esprimere liberamente i propri sentimenti e le fantasie di fronte al testo.
Proprio allo scopo di favorire questo requisito abbiamo proposto l’accorgimento di dividere il tempo della lezione nei due momenti distinti: informazione e discussione.
Un simile inquadramento serve a mettere a fuoco gli effetti che un’informazione è in grado di produrre nel contesto della classe. L' insegnante coordinerà il gruppo e interpreterà quanto viene accadendo, cercando e segnalando i collegamenti tra la dinamica (il contesto del qui e ora della lezione) e la tematica (i contenuti legati al testo).
Sul piano dinamico l'obiettivo è facilitare la rotazione delle leadership: nella misura in cui i soggetti acquisiscono  più elasticità e sperimentano vari modi di pensare e sentire, scoprono la varietà degli aspetti del compito.
Una delle mie esperienze didattiche più significative è relativa alla lettura della Divina Commedia in classe.
L' utilizzazione del testo dantesco sempre così accattivante e centrato sui vari ambiti della quotidianità, è associata al bisogno di sperimentare molteplici livelli di sensazioni ed esperienze, alla ricerca di una speciale autorizzazione a pensare. Questo impegno si dimostra molto produttivo dal momento che gli allievi conquistano una maggiore capacità nel confrontare convinzioni e giudizi, di cui si scoprono depositari, e arrivano a delle determinazioni critiche del proprio modo di ragionare a partire dalle relazioni e dal confronto che essi stabiliscono con la pratica.
L'aspetto creativo del gruppo può essere un elemento di valutazione perché diviene un indice della sua operatività. Questa si realizza man mano che si affrontano compiti nuovi, con tecniche nuove.
Da parte mia cerco di stabilire un collegamento tra:
a) lo spirito del nuovo, l'applicazione, la scoperta, l'invenzione, ma anche l'elaborazione delle paure, dell'ansia come prodotto del compito gruppale
      e
b) il testo dantesco proposto come resoconto di un viaggio immaginario che rappresenta il cammino verso la conoscenza di sè.
Percorso guidato in tutte le tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso) come una rassegna della condizione umana e delle circostanze che producono le vicende dell'esistenza attuale. Lo stesso contenuto critico ed interpretativo del testo poetico viene in questo modo arricchito e rialimentato, suscitando originali prospettive nella comprensione dei livelli di significazione del registro poetico e del contesto storico.
A partire dalla interpretazione (ora elemento tecnico, modalità di comunicazione del coordinatore) il gruppo ha l’opportunità di conoscere l'ipotesi che l'insegnante fa intorno al contenuto implicito dell'esplicito. Questo è un passaggio fondamentale per ricostruire il percorso delle varie forme di lettura della realtà e addestramento a realizzare un metodo per pensare e attuare delle scelte.

Il tema dell’articolo

Naturalmente il bocciato è un caso limite al quale ci rapportiamo e non è detto che sia sempre possibile evitare che allo scrutinio finale o all'esame ci siano degli allievi respinti.
Quello che importa non è far scomparire dalla scuola i respinti (è in realtà quello che sta accadendo in Italia con la riproposizione di una divisione degli accessi agli studi superiori rispetto a chi viene dirottato sulla formazione professionale, processo che occulta livelli di selezione sociale e culturale)  per un’ideologia falsamente egualitaria, ma di ammettere che è possibile attuare un collegamento funzionale tra gli elementi di disturbo di cui è portatore un allievo con problemi di rendimento e/o disciplinari e/o sociali e gli aspetti più problematici degli argomenti che sono oggetto di studio.
L' insegnamento va impostato nella forma di una maieutica, che consiste in una cooperazione tendente a richiamare,  come nel caso della lettura della Commedia, il gioco delle contraddizioni e la ricerca di un significato plausibile per le parole ed i contesti danteschi; un simile approccio permette di affrontare il problema esegetico in una condizione di scambio reciproco e di via vai tra il concreto e l'astratto, lo storico e l’immaginario.
L'importante è essere convinti che qualsiasi cosa accada in un gruppo, questa si sta manifestando per mezzo di un emergente, il portavoce, espressione del contenuto implicito della situazione di gruppo.
Qualcuno si assumerà il ruolo di portavoce e il contenuto dell'implicito si sarà trovato una strada per divenire esplicito. E allora, chi tra gli allievi farà da deposito delle tensioni e dei nuclei conflittuali non risolti? Certamente tutta la vicenda del processo di apprendimento possiede una valenza catartica per il gruppo all'interno del quale tutti vorranno evitare di vestire i panni dello sventurato studente. Ognuno cercherà di stabilire un rapporto privilegiato con il professore che, beato lui, molto spesso cede al gioco del dispensatore dei bei voti a tutti coloro che sembrano perpetuare l'immagine dello studente modello come figlio modello.
Tutti tranne colui o coloro che si troveranno nella situazione più opportuna per porsi ai margini della normale convivenza all'interno della classe e rischieranno permanentemente di essere bocciati.


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Bocciato-ACarraro

 

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